Omicidio Gambirasio, la difesa di Bossetti presenta ricorso in Cassazione: “La sentenza non ha senso scientifico”

La difesa di Massimo Bossetti, accusato e condannato per due gradi di giudizio per l’omicidio di Yara Gambirasio, ha presentato ricorso in Cassazione.

Dopo la sentenza di secondo grado che ha condannato Massimo Giuseppe Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate di Sopra scomparsa il 26 novembre del 2010, i legali del muratore di Mapello, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, hanno depositato presso il Tribunale di Como il ricorso in Cassazione. La difesa non si arrende alle sentenze precedenti e crede fortemente che il verdetto del carcere a vita per l’uomo, emesso in primo grado e confermato in Appello, sia impietoso. L’azione compiuta dalla difesa rappresenta l’ultima speranza per Massimo Bossetti di essere scarcerato, qualora venisse ritenuto innocente.

L’avvocato Claudio Salvagni ha spiegato, come riportato da L’Unione Sarda, i punti centrali del ricorso in Cassazione rispetto alla sentenza di secondo grado, emessa il 17 luglio del 2017, che ha confermato la condanna all’ergastolo per Massimo Bossetti. “Abbiamo presentato un ricorso di 595 pagine, in cui il nodo principale resta il Dna“, ha rivelato il legale spiegando che la difesa mirerà a dimostrare le anomalie legale al Dna di “Ignoto 1” rinvenuto sul corpo e sugli abiti di Yara Gambirasio, appartenente, secondo l’accusa, al muratore Mapello.

L’avvocato difensore Salvagni ha aggiunto: “È una sentenza sbagliata che non ha senso scientifico, che arriva a una conclusione ma senza avere gli elementi per emetterla“. Ad essere contestata, come riporta L’Unione Sarda, è soprattutto la mancata possibilità per l’imputato di difendersi, in ogni tappa del procedimento, nei confronti dell’accuse a lui attribuite, a partire dalla perizia sul Dna sino al mancato accesso ai reperti. La speranza da parte della difesa è che nel ricorso vi sia spazio per altri elementi che potrebbero essere oggetto di un nuovo dibattito in Cassazione, come i dati sulle celle telefoniche, sulle fibre trovate sul corpo della vittima, sul passaggio del furgone ripreso dalle telecamere della zona. Per Salvagni la sentenza di secondo grado è completamente fuori strada.

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