Le strazianti parole del fratello di Yara Gambirasio: “Per me non è morta”

Dopo la condanna all’ergastolo da parte della Corte d’Assise d’Appello nei confronti di Massimo Bossetti, sono ancora molti i misteri che avvolgono la morte di Yara Gambirasio. La famiglia della tredicenne di Brembate di Sopra da quel giorno è distrutta: a soffrire in particolare sono i fratelli.

Una famiglia straziata dal dolore quella di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate di Sopra scomparsa il 26 novembre 2010. Il corpo privo di vita della ragazza fu ritrovato a distanza di tre mesi, il 26 febbraio 2011, in un campo a Chignolo d’Isola. Per la sua morte è stato arrestato e condannato all’ergastolo, in primo e in secondo grado, Massimo Giuseppe Bossetti, che dal 16 giugno 2014 si trova in carcere. Entrambi i verdetti sono il risultato di lunghe indagini da parte degli inquirenti, che hanno interrogato anche la famiglia e i fratelli di Yara Gambirasio, con l’intento di ricostruire quanto avvenuto alla tredicenne.

In uno degli interrogatori, svoltosi nel 2012, il fratellino di Yara non poteva credere che il corpo abbandonato senza vita a Chignolo fosse della sorella. Agli inquirenti, come scrive il settimanale Giallo, rivelò inoltre: “Yara mi aveva raccontato che tornando a piedi dalla palestra si era scontrata con un uomo – prosegue il fratello della vittima parlando del presunto colpevole -. Lei aveva chiesto scusa e lui le aveva detto: ‘Stai più attenta, ragazzina’. Era rimasta un po’ sorpresa, mi aveva raccontato anche che quest’uomo la seguiva in via Morlotti con una macchina grigia e un po’ lunga, e la guardava male. Sono rimasto stupito che qualcuno potesse guardarla male, forse quell’uomo era ancora arrabbiato per quella volta che si sono scontrati”. Incredulo non si dava pace il fratellino di Yara: “Una volta l’ho sognata al mare, mi aveva detto che l’avevano rapita ma io l’avevo vista contenta…”. Parole strazianti e commoventi, di un fratello che soffre per la perdita della sorella. Una morte alla quale non può credere, soprattutto per la sofferenza che deve aver provato la sorella: abbandonata in un campo, con gli occhi e la bocca spalancati come se stesse urlando. Un urlo però che non si può più udire.

“Alla morte di Yara hanno concorso la debolezza di una persona che sta perdendo sangue e diverse lesioni sul corpo, la contusione alla testa, il freddo di quella notte. Yara aveva ulcere gastriche, segno di forte stress”. Queste le parole in merito alla morte della tredicenne espresse dal giudice che condannò all’ergastolo Massimo Bossetti nel 2016. Nonostante si sia arrivati al secondo grado di giudizio vi sono ancora alcuni dubbi e misteri rimasti irrisolti: come il cellulare mai trovato di Yara. Nelle tasche del giubbotto della ragazza sono state ritrovate le chiavi di casa, i guanti di lana, il lettore musicale, la sim e la batteria del cellulare della ragazza, il telefono però non è mai stato trovato: un giallo mai chiarito. Il mistero non riguarda solo il cellulare della ginnasta ma anche quello di Massimo Bossetti. Come riportato dal settimanale di Andrea Biavardi, in casa del muratore di Mapello sono stati rinvenuti diversi apparecchi telefonici appartenuti all’uomo: “Sono rotti o inutilizzati, ma mi piace conservarli”. Una spiegazione più che plausibile, peccato che tra questi cellulari non vi sia quello utilizzato dall’uomo quando è sparita Yara. L’unico telefono che Bossetti ha venduto al miglior offerente: una coincidenza? L’unica certezza sono le prove e le sentenze emesse dai giudici che non hanno mai avuto dubbi sulla colpevolezza di Massimo Bossetti nell’omicidio di Yara Gambirasio.

Photo Credits Facebook

 

Impostazioni privacy