Ricorso straordinario per Alberto Stasi: errore nel processo per l’omicidio di Chiara Poggi

La difesa di Alberto Stasi ha presentato un ricorso straordinario in Cassazione contro la sentenza di condanna definitiva per l’omicidio di Chiara Poggi.

Nell’atto firmato dallo stesso Alberto Stasi, il 3 dicembre del 2016, si parla di “errore di fatto” per una svista da parte della Suprema Corte, la quale non si è accorta che nell’appello bis non erano stati sentiti alcuni testimoni. Per la difesa dell’ex fidanzato di Chiara Poggi, ciò è sufficiente per presentare ricorso straordinario in Cassazione contro la sentenza di condanna definitiva a 16 anni di carcere per l’omicidio della ragazza, avvenuto a Garlasco il 13 agosto del 2007.

Nel ricorso la difesa di Alberto Stasi chiede alla Cassazione di revocare la sentenza definitiva, del 12 dicembre 2015, e di “Rilevare l’errore di fatto lamentato, in assenza del quale l’esito decisorio sarebbe stato differente”. Di conseguenza gli avvocati della difesa chiedono “L’annullamento con rinvio” della condanna a 16 anni di carcere, emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano il 17 dicembre 2014. In caso di accoglimento si chiede, inoltre, la sospensione degli effetti della condanna definitiva. Ciò permetterebbe ad Alberto Stasi di uscire dal carcere di Bollate, dove si trova detenuto. “L’errore di fatto”, citato nel ricorso straordinario, firmato dal condannato e dall’avvocato Angelo Giarda, consiste nel non aver sentito nel processo di secondo grado testimoni il cui esame era ritenuto decisivo nel giudizio di primo grado, conclusosi con l’assoluzione dell’ex fidanzato di Chiara Poggi.

Nel ricorso straordinario l’avvocato Angelo Giarda ha indicato, in 21 punti, le “prove dichiarative” che avrebbero dovuto essere riassunte nel processo in appello. L’errore, di cui la Cassazione non si è accorta, ha portato secondo la difesa a “Un gravissimo pregiudizio per i diritti fondamentali di Alberto Stasi che avrebbe avuto diritto, senza ombra di dubbio, quantomeno a un nuovo grado di giudizio”. Angelo Giarda chiede quindi alla Suprema Corte “Il diritto ad un equo processo“nei confronti del suo assistito.

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