Non ha gridato “aiuto”: cade l’accusa di violenza sessuale

Il Tribunale di Torino ha assolto un uomo accusato di violenza sessuale nei confronti di una donna perché “il fatto non sussiste”. La donna non ha gridato ‘aiuto’ e non ha tradito “quella emotività che pur doveva suscitare in lei la violazione della sua persona”.

È destinata a far discutere la decisione del Tribunale di Torino di assolvere un uomo accusato di violenza sessuale nei confronti di una collega. La donna non ha gridato aiuto e non ha tradito “quella emotività che pur doveva suscitare in lei la violazione della sua persona”. Il Tribunale di Torino ha stabilito che “il fatto non sussiste”.

Ma andiamo con ordine. La donna, una torinese con un’infanzia segnata dagli abusi del padre (che si sarebbero protratti dai 5 ai 12 anni d’età) che ha lavorato con contratto interinale alla Croce Rossa di Torino, ha accusato un collega di aver compiuto su di lei una serie di presunti abusi sul luogo di lavoro. Durante il processo, il PM ha delineato di lei un profilo psicologico che denota una “esperienza traumatica di abuso infantile reiterato intrafamiliare subito”. La stessa donna, tra le lacrime, ha raccontato durante il dibattimento che quel collega, più anziano e più stabile di lei (che era precaria) le ricordava il padre, “persona fredda, cruda e dura”. Incalzata dalle domande di chi le ha chiesto perché, quando lui la toccava sul lettino della stanzetta del pronto soccorso dell’ospedale, non ha reagito spingendolo via, o gridando “aiuto”, la donna ha risposto: “Uno il dissenso lo dà, magari non metto la forza, la violenza come in realtà avrei dovuto fare, ma perché con le persone troppo forti io non… io mi blocco”. Le crisi di pianto hanno interrotto più volte la sofferta testimonianza della donna. Secondo i giudici, la teste è rimasta “sul vago” e “non ha urlato” quando l’uomo tentava di spogliarla. E ancora: la donna non ha riferito di “sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori in qualche parte del corpo”. E la Corte ha rimarcato: “Non ha gridato, non ha urlato, non ha pianto e pare abbia continuato il turno dopo gli abusi”.

L’imputato, che secondo la versione della parte lesa l’avrebbe costretta a presunti rapporti sessuali “come pegno per poter continuare a lavorare” e evitare turni scomodi o in luoghi come il Cie, non ha mai negato palpeggiamenti ed effusioni, ma ha sempre sostenuto che la collega fosse consenziente. Secondo il PM, che valuterà il ricorso in Appello, l’uomo avrebbe “approfittato della fragilità della vittima e del suo ruolo di indubbia supremazia nella Croce rossa”. “Lei ha tenuto a lungo il silenzio su questa dolorosa vicenda – ha precisato il magistrato durante la requisitoria – ma questo non significa che non sia attendibile nel raccontare cosa le è stato fatto”. La donna, dopo la decisione del Tribunale di Torino, dovrà anche rispondere di calunnia.

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