Cucchi, la procura: “I carabinieri che lo hanno massacrato devono essere processati”

Per il caso di Stefano Cucchi, morto in stato di detenzione nel 2009, sei giorni dopo l’arresto a Roma, i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di omicidio preterintenzionale per i carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco. Il maresciallo Roberto Mandolini è accusato di falso e calunnia; di calunnia il carabiniere Vincenzo Nicolardi 

La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di cinque carabinieri coinvolti nell’indagine bis sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra di 32 anni deceduto il 22 ottobre del 2009 all’ospedale Pertini, sei giorni dopo essere finito in manette per possesso di droga. La notizia è arrivata martedì 14 febbraio 2017, secondo quanto riporta il sito web dell’Ansa.

OMICIDIO PRETERINTENZIONALE

Tre militari – Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, già in servizio presso il Comando Stazione di via Appia – devono, secondo l’accusa, rispondere di omicidio preterintenzionale aggravato dall’aver commesso il fatto con abuso dei poteri e con violazione dei doveri inerenti alle funzioni di ufficiali di polizia giudiziaria.

SCHIAFFI, CALCI E PUGNI

I pm li ritengono responsabili di aver pestato Stefano Cucchi, il giorno del suo arresto, “con schiaffi, calci e pugni“, provocandogli una “rovinosa caduta con impatto al suolo della regione sacrale” e lesioni guaribili in almeno 180 giorni e in parte esiti permanenti, che, “unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi al Pertini”, poi hanno portato il giovane alla morte.

CALUNNIA E FALSO

Tedesco è accusato anche di falso e calunnia al pari del maresciallo Roberto Mandolini, comandante all’epoca della stessa Stazione, mentre della sola calunnia deve rispondere il militare Vincenzo Nicolardi. Il falso in atto pubblico, ipotizzato dai magistrati di piazzale Clodio, è legato al verbale di arresto in cui si “attestava falsamente” che Cucchi era stato identificato attraverso le impronte digitali e il fotosegnalamento: circostanza che per gli inquirenti non corrisponde al vero ma ha rappresentato la ragione del pestaggio di Cucchi, ritenuto “non collaborativo all’operazione”. Mandolini e Tedesco, poi, non avrebbero verbalizzato la resistenza opposta dal geometra nella stazione dei carabinieri dove venne portato per il fotosegnalamento, e avrebbero “attestato falsamente” che Cucchi non aveva voluto nominare un difensore di fiducia.

TESTIMONIANZE FASULLE

La calunnia, invece, si riferisce alla varie testimonianze rese al processo svoltosi in corte d’assise dove erano imputati tre agenti della polizia penitenziaria, poi assolti con sentenza definitiva: Tedesco, Mandolini e Nicolardi, “affermando il falso in merito a quanto accaduto nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009” accusavano implicitamente i tre agenti, pur “sapendoli innocenti”, delle botte inflitte al detenuto.

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